Romanità a tavola: Il caciofiore di Columella

Romanità a tavola: Il caciofiore di Columella

Il caciofiore di Columella

Mi appassionano tanto le storie legate alle produzioni agroalimentari, le tradizioni e i gesti che si tramandano. Proprio questo weekend sono stata a Fornamticum, una mostra mercato di rarità casearie e ho avuto modo di fare tanti assaggi meravigiliosi. Così oggi ho deciso di fare un post diverso. Parlare di formaggio invece che raccontare la solita ricetta. Non la storia di una formaggio qualsiasi ma quella del Caciofiore, è così interessante che vale la pena di essere raccontata.

Dal “De re rustica”  di Columella, alle tavole di oggi, è il formaggio che fa parlare di se perché ricreato con la medesima tecnica di produzione dei romani. Latte crudo ovino, caglio vegetale delle campagne laziali, si chiama Caciofiore di Columella dal testo a cui la sua produzione si ispira.

Chissà cosa avranno pensato di Lucio Giunio Moderato Columella, quando abbandonò l’onorata carriera da Tributo per occuparsi di agricoltura e pastorizia, e chissà se nel 36 d.C. questo era ritenuto “normale”. Io ne dubito.

In realtà, il buon Columella nella sua vita poi si occupò delle sue diverse proprietà terriere, perciò la sua scelta non era totalmente da sprovveduto, in più tale era la sua passione per l’agricoltura che si mise a scrivere vari trattati sull’argomento, uno, il “De re rustica” di ben dodici volumi è arrivato a noi integralmente.

Da questo trattato di scienze agronomiche, qualcuno si è preso la briga di riprendere la parte alla produzione del formaggio e si è messo in testa di rifare il formaggio come lo facevano i romani.

“Conviene coagulare il latte con caglio di agnello o di capretto, quantunque si possa anche rapprendere con il fiore di cardo silvestre o coi semi del cartamo o col latte di fico. In ogni modo il cacio migliore è quello che è stato fatto col minimo possibile di medicamento”. (Lucio Giunio Moderato Columella, “De re rustica”, 50 d.C.).

Il progetto finanziato dalla Camera di Commercio di Roma e dalla Azienda Romana Mercati, ha trovato alcuni produttori artigiani, illuminati (aggiungerei io) del Lazio, che hanno portato avanti questa piccola sfida: fare il Caciofiore di Columella.

Attualmente sono diversi produttori che si occupano di questa piccola produzione casearia.
Ma prendiamo ad oggetto una storia in particolare, quella di Sergio Pitzalis, per arrivare alla produzione del suo Caciofiore, parte dall’allevamento semibrado di pecore, che in inverno pascola nella zona di Cerveteri e d’estate fa la transumanza sugli altopiani abruzzesi. Lui, trasforma il latte, producendo vari tipi di pecorini e per il caciofiore parte dal latte crudo (il che vuol dire senza processo di pastorizzazione).
Inoltre non aggiunge nè fermenti nè caglio di origine animale.
Allora come fa a coagulare questo latte, se non viene aggiunto nulla? Bè in questo caso il produttore utilizza pistilli di cardo (Cynara cardunculus o Cynara scolimus). Il cardo è un parente del carciofo e nella campagna romana di certo la tradizione di coltivare carciofi e cardi non è mai mancata, presumibilmente anche al tempo dei romani. Quindi il caciofiore si fa con caglio vegetale e non animale.

Una volta realizzato questo formaggio a caglio vegetale quindi, le forme vengono messe in fuscelle quadrate subiscono una stagionatura da 30 a 90 giorni, vengono rigirate quotidianamente per prevenire l’eccessiva formazione di muffe.
La crosta assume quindi un colore giallo bruno ed è grinzosa racchiude una pasta morbida e compatta con lievi occhiature e un cuore di formaggio dalla cremosità sorprendente. Alcuni lo hanno definito l’antenato del pecorino.

Il caciofiore dal 2005 è presidio Slow food.

All’assaggio il formaggio presenta con odori lattici e burrosi, sentori di ovino e a seconda della stagionatura e qualche nota più vegetale di carciofo, il sottocrosta può assumere una consistenza cremosa e sentori di frutta secca. Caratteristico il suo finale amarognolo, comune a tutte le tipologie di formaggio a caglio vegetale, che non deve essere considerato un difetto ma una peculiare caratteristica.

Il modo migliore per assaggiarlo è tal quale, oppure in qualche ricetta legata alla tradizione del territorio, perché non provare degli gnocchi di semolino alla romana con aggiunta di questo formaggio sopra?

Gnocchi alla Romana leggeri, cacio e pepe

Gnocchi di semolino e zucca

Di seguito l’elenco dei produttori di Caciofiore segnalati da Slow Food, li riporto perché nelle prossime giornate in cui la primavera è in arrivo potrebbe essere un ottima idea andare in visita, per saperne di più:

Caseificio De Juliis
Roma
via Giovanni Gregorio Mendel, 151
tel. 06 7139146
335 6576448
info@caseificiodejuliis.it
www.caseificiodejuliis.it

Acquaranda
di Massimo Antonini
Trevignano Romano (Roma)
via dello Sboccatore, 8
tel. e fax 06 9985301
345 5095512
info@acquaranda.it
www.acquaranda.it

Eredi Ferrazza
Campagnano di Roma (Roma)
Strada di Martignano, snc
tel. e fax 06 35344971- 335 7121850
andrea@martignano.com
www.martignano.com

La Baita del Formaggio
Capena (Rm)
Via Passo della Lepre, 2c
tel. 06 9085670 – 335 6281033
giuseppe.riti@gmail.com

La Quercia
Guidonia Montecelio (Rm)
Via Enrico Forlanini, 37/39/41
tel. 0774 373741
info@laquerciasrl.it

Sergio Pitzalis
Bracciano (Rm)
Via Settevene Palo, 39
tel. 06 9987072
Il suo Caciofiore si trova anche al mercato della campagna amica di San Teodoro a Roma.

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