Ad Alba di questi tempi, non si fa che parlare dell’imminente fiera del tartufo. La città nei primi giorni di ottobre sarà invasa da molti turisti e curiosi che approfittano della ghiotta manifestazione per far un giro nelle Langhe e godere del buon vino e della gastronomia di questo pezzetto d’Italia.
Sono stata fortunata a vedere Alba tranquilla, senza la folla di gente che invece ho visto a Bra in occasione del Cheese questo weekend.
Sono stata ancora più fortunata, proprio in questi giorni, a trovare posto per potermi accomodare ad un tavolo d’eccezione nel ristorante di Enrico Crippa, Piazza Duomo.
Non è semplice provare a scrivere di un’esperienza così eccezionale come quella che ho vissuto in questo ristorante, d’altronde sono un amante della buona gastronomia ma davanti a certi livelli non è proprio facile dare un giudizio, dire di averne capito l’essenza, rendere giustizia ad un piatto anche tramite una foto. Corri il rischio, di fronte a tanti professionisti che parlano e scrivono meglio di me, che professionista non sono, di uscirtene con espressioni più simili al linguaggio de Er Piotta “io non t’ho visto, t’ho vissuto” o una serie di banalità sul genere, piuttosto che avere una comunicazione efficace.
Pertanto, voi che mi leggete più spesso e che un pochino mi “conoscete” spero che potrete essere meno severi nel giudizio di quanto sto per raccontare.
Dopo la doverosa premessa, vi racconto come è andata a Piazza Duomo. Si accede al ristorante da una porta rosa, si salgono le scale che sono quelle di una normalissima casa e sembra di entrare in un “normale” appartamento. Un ingresso che non ti aspetti, ma che quasi ti rassicura e ti fa sentire ben accolto in un cantuccio che ti parla di Italia e di vita reale.
A terra il pavimento di graniglia, ben lucido, come quello di casa di mia nonna, ciò che cambia è la vista fuori dalle finestre della sala da dove si vede la Cattedrale di San Lorenzo che domina la pizza.
Le pareti sono del mio colore, rosa, su di esse appaino dipinti rami, animali e persone, i colori usati sono sempre tenui.
Siamo ben lontani dallo sfarzo di alcuni locali torinesi e penso Al Cambio e hai luccicosi caffè del nord. Qui tutto è essenziale, ma confortante.
Non tardo a scoprire che anche la cucina di Crippa in fondo lo è.
Lo scopro già dagli antipasti.
Un piccolo creme caramel salato, dal gusto intenso di miso apre le danze ed è seguito da un benvenuto che si compone di: una spugna di bieta con salsa tonnata e polvere di capperi, delle sfoglie soffiate e croccanti sono servite al posto del pane, le 2 olive: una bianca e una nera che ricordano l’oliva ma dentro hanno il ripieno una di vitella e una di scampi.
Insieme a questi, un assaggio che da solo valeva il viaggio a Piazza Duomo, si tratta di una sferetta composta da “foie gras e gingerino” con con mais croccante, insieme servono una cialda di anacardi, per accompagnare. Il gusto rotondo del foie gras insieme all’amaro del gel di ginger, quasi frizzante, il mais che scrocchia sotto i denti rendono questo piccolo assaggio un capolavoro che ti porta con la mente al sapore dell’aperitivo al bar, quello servito insieme agli anacardi (la cialda) o ti ricorda quel mais tostato più volte assaggiato al pub.
Penso subito che l’accoglienza che si ha quando ci si siede qui, sia votata alla sorpresa, allo stupore regalando da subito gusti sprizzanti di energia, croccanti e resi ancora più accattivanti da un calice di champagne Delamotte che ci viene servito all’inizio.
Se l’entrée può spiazzare, con l’antipasto arrivano invece momenti in cui ti puoi coccolare e confortare.
Le pietanze diverse servite con l’immancabile grissino torinese sono ben 9 e raccontano tanto del Piemonte e tanto territorio:
Caponet magro con caviale e radicchio
funghetti sotto aceto
cavolfiore e salsa bernese
cuore di lattuga con wasabi
kimchi e orata, servito a me che non mangio peperone
zucca marinata con nocciola salata
seppia ripiena di acciuga al verde, piselli, capperi, olive e sedano
Crostini di pane con fegatini.
Tra un assaggio e l’altro ritrovo il sapore di quei funghetti che mia mamma teneva in casa, il cavolfiore croccante con una salsa bernese avvincente, che mi riporta a sapori della mia memoria. Strepitosa l’acciuga al verde e il caponet magro.
Ho pensato di mangiare il mare, quando ho assaggiato “CapRiccio” il piatto di Crippa dedicato ad un ingrediente che adoro alla follia, il riccio di mare. Delle sottili sfoglie di riccio sono appoggiate su di un gel composto da acqua di pomodoro e pecorino. Un piatto che entusiasma e esplode letteralmente in bocca con un gusto del riccio all’ennesima potenza. Il piatto è accompagnato da una bruschetta di pane nero, calamaro alla plancha, maionese ai ricci di mare e alga nori.
“L’insalata 21,31,41,51…” Viene accompagnata da un foglio in cui sono elencate tutte le meravigliose erbette che si trovano all’interno. Il gioco è tentare di riconoscerne almeno qualcuna.
L’insalata è un crescendo di sapori che vanno prima dal piccante all’acetico, dal citrico e al salino e poi via via vanno ad intensificarsi con i sentori di brodo dashi, aceto di barolo e olio, che alla fine dell’insalata vanno bevuti.
Sfido chiunque a dire che questa è solo insalata. E’ un esperienza, è come un percorso che arriva all’essenza del gusto, accompagnando il palato a sentire l’umami.
A seguire viene servito il “meluzzo e zucca” un piatto composto dal pesce cotto a bassa temperatura e quindi morbidissimo, con una crema di zucca e i nasturzi. Sempre ottimo ma tra tutti forse quello che mi ha entusiasmato meno.
La “parmigiana di scampi“, è un piatto che si presenta bellissimo alla vista. Gli scampi crudi, si affiancano alla burrata, alla melanzana e a l’acqua di pomodoro, al centro un esplosione di sapore dato dal ristretto di crostacei. Anche questo piatto che parla di mare, ma forse un pochino meno di parmigiana. Ad ogni modo l’ho adorato.
Entriamo in una seconda fase del menù quando ci viene servito il “foie gras, rape e castagne” è un piatto d’autunno, sia per la presenza della castagna che per la presenza dei tuberi, il sapore amaro della cima di rapa ben si sposa con il dolce del foie spalleggiato dalla castagna. Un piatto completo dal gusto rotondo che sprigiona calore e che difficilmente si può scordare nella vita. E’ la portata che amato di più di tutto il menù.
Ad accompagnarlo, Vincenzo Donatiello ci fa assaggiare Sierra du Sud, domaine Gramenon, un syrah, energico e croccante del sud della Francia, con dei profumi rotondi e speziati che si incontravano con quelli del piatto e si rincorrono in bocca in un susseguirsi lunghissimo.
Il “riso piemontese” è un riso cremoso e avvolgente che fa rivivere un piatto tradizionale a base di fegatini di pollo, ma in questo caso è impreziosito dal cacao. Da amante del riso (più della pasta) ho trovato ben calibrato il mix dei sapori che nonostante tanto teneri non fossero, il risultato è un piatto delicato e leggero.
Ultimo vino e ultima portata: il vino è Rivetto, vino rosso della zona di Barolo vinificato in anfora, non filtrato, non chiarificato con aggiunta minima di solfiti, senz’altro un interessante assaggio. Mentre l’ultimo piatto è il “piccione kailan kichi” con salsa tartufata. Il Kailan kichi è un cavolo giapponese a foglia verde, che lo chef si coltiva presso il suo personale orto. La carne è succosa, della giusta consistenza che si sente al morso, il gusto che si incontra è meno facile di quello che avevo immaginato, percepisco il gusto selvatico, il vegetale e l’amaro delle verdure di accompagnamento. Sicuramente il piatto più complesso al palato che abbiamo provato sin ora. Alla fine la bocca è pulita grazie al gusto del cavolo, e quel sapore iniziale come di selvaggina viene totalmente rinfrancato.
I dessert serviti sono diversi il primo è il “cannolo di bietola farcito con ricotta e pistacchi” servito con un sorbetto all’acacia. L’altro si chiama “rosa del deserto” ed è base di il cioccolato bianco e le sfoglie croccanti.
Ci viene servito un bicchiere di Pedro Ximenz 1967 della zona di Montilla-Moriles, cantina: Bodegas Toro Albalà per accompagnare la piccola pasticceria. Questa si compone di: cioccolatini con la nocciola, lollipop al mascarpone, latte più, e uva moscato.
Con un caffè si chiude il pranzo e tutta l’esperienza. Riesco ad entrare un poco nella bellissima cucina, dove posso complimentarmi con lo chef e sbirciare tra le varie postazioni dove vengono fuori tutti i piatti creati. C’è un ordine incredibile tutto è tirato a lucido.
Scendo le scale e la porta rosa si chiude dentro di me. E’ come quando ti svegli e ti sembra di cadere da una nuvola, ovviamente rosa, è stavolta è proprio il caso di dirlo.
Tuttavia non lascio Alba senza essere andata il giorno dopo a vedere una piccola meraviglia. L’orto di Piazza Duomo, che si trova precisamente nelle tenute di Ceretto. Che esperienza unica poter guardare le meravigliose piante aromatiche di Enrico Crippa e il suo orto dove le piantine di pomodoro stanno lasciando il posto a quelle delle crucifere. Da qui proviene l’insalata, da qui provengono tutti i cavoli particolari e le vedere descritte sopra.
Uno chef non può prescindere dalla materia prima eccellente e devo dire che ogni singola verdura provata a Piazza Duomo aveva davvero un sapore che sembrava concentrato all’ennesima potenza.
Probabilmente è proprio questa attenzione, quasi maniacale che rende tanto speciale Piazza Duomo e la rende una delle esperienze gastronomiche migliori che abbia mai fatto.
Piazza Duomo Alba
Piazza Risorgimento, 4, 12051 Alba CN
Telefono: 0173 366167