Il mondo intero sta attendendo, in questo mese, la solita anteprima annuale di questo grande vino: il Brunello, sarà presentato dal 20 febbraio, agli operatori del settore la nuova annata, la 2010.
Le aspettative per quest’anno sono molto buone, pare davvero che sarà un vino longevo di cui fare una bella scorta in cantina.
Io mi sono mossa per tempo, cogliendo l’occasione di una domenica libera, ho fatto un salto a Montalcino per visitare un paio di azienda di cui ero curiosa di saperne di più.
Per non farmi mancare nulla quindi, mi sono anche andata a leggere un pochino di storia di questa zona. Insediamenti antichissimi medievali, incendi che hanno distrutto la città e che non hanno consentito di conservare documenti dell’epoca. Già da tempi immemori inizia la produzione di vino, che si sviluppa fino a raggiungere i primi metodi “moderni” per la sua produzione. All’inizio del XX secolo, nell’edizione del 1902 della Guida Vinicola della Toscana, Ferruccio Biondi Santi e Raffaello e Carlo Padelletti sono i soli produttori a Montalcino.
Dopo la prima guerra mondiale iniziano a diffondersi: Argiano, Montosoli e Castelgiocondo (proprietà di Guido Angelini, oggi Altesino e Frescobaldi), oltre alla Fattoria dei Barbi (Colombini) e alla Fattoria di S. Angelo in Colle (famiglia Franceschi, poi divisa tra Il Poggione e Col d’Orcia). La seconda Guerra Mondiale provoca un nuovo un abbandono della viticultura che ritrova un po’ di ripresa negli anni 60. Precisamente nel 1967 nasce il consorzio. A seguire nel 1980 nasce da DOCG Brunello, è la prima in Italia.
In seguito il territorio ha fatto gola a grandi aziende che hanno iniziato a trattare questo vino come una commodieties, senza fare nomi, ma il successo del Brunello era ormai noto a tutto il mondo e molti hanno acquistato vigne meno vocate per poi diffonde il vino negli Stati Uniti e non solo a discapito del prodotto “banalizzandolo”, possiamo dire. Non ho forse le competenze per entrare davvero nel merito della questione, pertanto mi limito a dire che esistono aziende storiche e altre più giovani realtà che lavorano egregiamente in questo territorio, valorizzandolo. Tali realtà, meritano davvero di essere conosciute, sulle altre possiamo passare oltre.
Montalcino si compone di piccoli appezzamenti, come ci raccontava Baricci, via via sembra che tutta l’area, venga tirata come un elastico spostando il confine di Motosoli, e di Montalcino, sempre più al di fuori delle zone realmente vocate. Qualche integralista dice il Brunello, dovrebbe essere prodotto fino al punto in cui si possono sentire i rintocchi della campana della chiesa del paese.
Visitando l’azienda Baricci ci vengono mostrate le rocce che compongono il territorio di Montosoli, dove questa si colloca: sono marne, ofioliti e ci son dei quarzi, la pietra si presenta a scaglie.
Il sottosuolo ovviamente muta la sua composizione in funzione delle zone, ne sono state individuate 7, prevalentemente si producono questi due vini, di cui riporto uno stralcio del disciplinare per capirli meglio:
– DOCG Brunello di Montalcino:
Prodotto nel Comune di Montalcino
da uve Sangiovese grosso
Resa massima: 80q/ha, 68% uva/vino
Affinamento minimo in legno: 2 anni
Affinamento minimo in bottiglia: 4 mesi
Viene commercializzato dopo 5 anni dalla produzione, la riserva dopo il 6° anno.
– DOC Rosso di Montalcino:
Prodotto nel Comune di Montalcino
da uve Sangiovese grosso
Resa massima: 90q/ha, 70% uva/vino
Affinamento minimo: non richiesto
Viene commercializzato l’anno successivo alla vendemmia.
Per questo adesso è possibile trovar il Brunello 2010 e il Rosso di Montalcino 2013.
Le aziende che io ho visitato sono state la sopra citata Baricci e Tiezzi, la prima situata sotto la collina di Montalcino a Colombiano di Motosoli, la seconda proprio sotto la chiesa di Santa Maria del Soccorso (tanto che il suo vino lo chiama Brunello “vigna Soccorso”).
Entrambi gli assaggi fatti del 2010, erano vini ancora non pronti un pochino spigolosi ancora per l’acidità, ma di grande eleganza soprattutto quello di Baricci, meno d’impatto al naso ma di una finezza rara.
Di Tiezzi ho potuto apprezzare anche il Brunello 2009 che, in confronto, è un vino già pronto da bere e assolutamente in splendida forma.
In una fredda domenica, a Montalcino in cui abbiamo incontrato pioggia e neve per strada, con un cielo grigio e compatto che non regala certo foto spettacolari, proprio prima di risalire in macchina e tornare a Roma, il cielo si apre, salutiamo Montalcino con un tramonto tra le colline illuminato da uno splendido raggio di sole.
In questo post avrei voluto scrivere anche di qualche posticino dove poter consumar un buon pasto. Ma prima del 20 febbraio dubito che si potranno trovare ristoranti aperti in paese, noi ci siamo spostati a Sant’Angelo in Colle: il Leccio e il Pozzo erano le uniche trattorie aperte. Però se avete modo, sicuramente mangiare a Montalcino al Boccon Divino è tutta un altra esperienza.
Dopo tutta la filippica sul Brunello, qui si è studiato eh!? 🙂
Tanto per ricordarmi che sono dentro al mio blog di cucina lascio una ricetta, semplice ma sempre gradita. L’arista al Brunello è una ricetta tipica toscana, infatti su”la cucina maremmana” compare una versione scritta da ristorante “il Barilotto” di Santa Fiora e io la riporto fedelmente, così come l’ho fatta.
ARISTA AL BRUNELLO
” Maria Grazia Bartolomei, la cuoca-padrona del Barilotto di Santa Fiora, che non si occupa di etimologia va al sodo, stecca l’arista con ramerino, salvia e aglio e, in un tegame capace di contenerla, prepara a crudo gli odori: cipolla sedano carota prezzemolo e ramerino. Olio. Sale e pepe. Ci colloca l’arista. Cottura sulla lastra e non nel forno. La porta avanti. Quando sta per completarsi versa il vino Brunello, con abbondanda. Fa evaporare. Toglie l’arista dal tegame, finisce di cuocere gli odori, li passa al tritatutto e con questa salsettina, molto scura e vischiosa, condisce le piccole bistecche d’arista.”
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