Caporetto, agosto 2021.
Era una giornata di fine agosto non troppo calda, c’erano le nuvole in cielo e qualche goccia di pioggia mi costrinse quella mattina a mettere nello zaino anche le scarpe chiuse oltre ai soliti sandali aperti che indossavo, avevo paura della pioggia e del freddo.
Superammo il confine sloveno e dopo qualche chilometro nel nulla si aprì una valle. Verde. Sotto un cielo grigio piombo.
Caporetto, oggi Kobarid, è un cittadina piccolissima, il grazioso campanile, un paio di bar, non molto altro, forse non vale nemmeno troppo la pena soffermarcisi per le bellezze architettoniche, resta storicamente nota perchè terreno della 12° battaglia sull’Isonzo (c’è infatti un museo dedicato), una clamorosa disfatta dell’esercito italiano rispetto all’avanzata austro ungarica che vide le nostre truppe indietreggiare fino al Piave. Fortunatamente, rispetto alla sua fama storica, oggi Kobarid si presenta come un piccolo paesino, grazioso e sereno, nell’alta valle del fiume.
Hiša Franko si trova sulla strada che porta in paese, un paio di km prima. Lo circondano boschi, prati e un piccolo ruscello.
Il locale si sviluppa al pian terreno, fa eccezione il lato sinistro dove ci sono delle camere in cui è possibile anche alloggiare e sono collocate su un primo piano. Quando si arriva è possibile entrare nello spiazzo antistante, parcheggiare e accedere direttamente alle sale, al livello strada.
Tappeti per terra, pareti rosse, decori che per certi versi sono eccentrici e catturano l’attenzione. Noi procediamo però verso una sala circondata da vetri e piante dove ci possiamo accomodare al tavolo a noi riservato, sentendoci quasi seduti nel bel mezzo della valle.
Inizia così l’esperienza da Hiša Franko.
Sul tavolo un foglio, con una mezza paginetta scritta da Ana Ros, la chef, riporta una sua personale presentazione e il menù.
Sono 14 portate, è uguale per tutti. E’ il suo percorso, intitolato “Reincarnazione”, sottotitolo: After every rain de sun comes out ( A. Ros, Hiša Franko, 2021)
Resta solo da scegliere il vino e decidiamo anche per quello di affidarci al percorso proposto dal sommelier con la richiesta di provare qualcosa di sloveno che non conosciamo.
Così dopo pochi minuti arriva il vino e l’entrèe:
Cavolfiore, tartufo nero, uovo cremoso, pelle del latte, polvere di latticello insieme al
Pastrami di lingua di vacca, alga cistallo, jalapeno, crescione selvatico si mangiano con le mani e già dai primi assaggi quello che emerge di certo è la voglia di sorprendere, con gusti già dall’inizio abbastanza intensi che si stratificano in bocca in un bel gioco di consistenze, soprattutto il cavolfiore con il tartufo nero.
Patata nera, acciughe, pinolo nero, midollo
lmpressioni di Charcuterie
Kebab di carota, fiori di magnolia selvatica, spezie Panch Phoron
Sono 3 preparazioni che vengono presentate insieme: il tagliere di legno vuole simboleggiare il classico assiette di salumi che da inizio a tante tavole tipiche della cucina di zona, qui ci sono infatti le “impressioni di chartuterie” ovvero diverse declinazioni di maiale: fegato ricoperto di polvere di cavolo cappuccio (è la reinterpretazione di un piatto tipico sloveno) appoggiato su un pane di segale che vuole richiamare gli antichi pani di montagna. Viene proposto insieme a quello che sembra un ravanello ma il suo interno nasconde un ripieno sempre di maiale, in questo caso, il cuore, fatto a tartare.
L’osso, su cui è appoggiata la patata nera, è un elemento che vuole simboleggiare le lunghe caramellizzazioni, una di queste è quella dell’aglio, che si tramuta in aglio nero ed è, in questo caso, unito al midollo, ad una parte di acciuga, ai pinoli e ai germogli di abete in conserva.
La carota, quindi l’ultimo piattino, è cucinata come un kebab, rotolata sopra al fuoco lentamente, in stile indiano e aromatizzata con le spezie tipiche di Calcutta (panch phoron) e fiori di magnolia che ricordano il sapore dello zenzero.
Il Beignet di mais, ricotta fermentata, uova di trota affumicate, erba cipollina selvatica ha una frittura leggera ed impalpabile resa ancora più croccante dalla copertura di farina di mais, perfetto il ripieno leggermente affumicato insieme alla ricotta fermentata (skuta in sloveno).
Non ti fermeresti più di mangiare il pane ai semi di lino lievitato naturalmente, che viene servito con burro al levistico portato prima dell’insalata di montagna con acqua di pomodori lattofermentati questa è composta da tenere foglioline raccolte dall’orto biodinamico gestito da dei produttori vicino al ristorante e si compone anche di melone compressato, piccoli cetrioli, sfere di acqua di pomodoro lattofermentata poste alla base del piatto e che quindi all’inizio non si vedono, ma mescolando con la forchetta e unendo i sapori viene fuori un mix sorprendente.L’aggiunta di una componente piccante come l’habanero dona un kick di sapore in più che rende questo piccolo piatto un elemento di rottura per iniziare veramente il menù.
Pasta ripiena di albicocche, brodo di maiale infuso con noccioli di albicocca, acqua di rose ed olmaria
Ed ecco che con questa pasta, simile ad un tortellino si viene catapultati in un viaggio lontano. E’ la stessa chef Ana Ros che si avvicina al tavolo per spiegarci questa portata e ci parla del Bazar di Istambul, ci parla sei sentori di spezie e del profumo di rose che si sentono lì, delle mandorle, delle albicocche secche e dei fichi. Nel piatto c’è tutto questo, infatti il brodo di maiale è profumato con infusi di noccioli di albicocche e petali di rose e olmaria, che accentuano il gusto percepito nel ripieno sempre di albicocche. Un piatto che ti catapulta in un altro pianeta e ti scordi di essere in Slovenia. Personalmente ho ritrovato i profumi dei lokum turchi e avendo viaggiato in queste zone ho ritrovato proprio ricordi ed esperienze qui dentro.
Trota stagionata con foglie di fico, orzo inoculato, erba glaciale, cetriolo e fiori di sambuco; pralina di pancia di trota e polvere di foglie di fico
La trota viene maturata nelle foglie di fico, sulla cima del piatto cetriolo e erba glaciale servono da richiamo all’acidità insieme alle bacche di bosco in conserva che danno anche una componente sapida. L’acqua viene ricavata dalla maturazione della spora dell’arspergillus di un kogi, base del sake, la trota invece viene dal lago Bohinj vicino il ristorante, il lago è molto freddo e le trote sviluppano parecchio grasso soprattutto sulla pancia, questa parte viene usata per la pralina, coperta da burro di cacao e foglie di fico, questa è servita a parte e deve essere consumata in un secondo momento, dopo la trota.
La Tortilla con mole alpino, olio di sorgo, barbabietole fermentate, agnello arrosto la provenienza dell’agnello è Danzica, il mole, salsa messicana tipico accompagnamento per le carni, anche la tortilla si mangia con le mani piegandola e assaporando tutto il connubio che ne deriva, le erbe fresche rendono il boccone un po’ lontano dal gusto messicano ovviamente, ma donano un connubio di perfetto equilibrio tra i tanti sapori.
Piatto che mi ha colpito più di tutti e che probabilmente non scorderò mai è il
Raviolo di castagne ripieno di zampa d’orso, consommè di bosco
Immagina: passeggiare nel bosco dopo la pioggia e raccogliere tutte le erbe.
Dopo di portare alla bocca un’essenza del tuo raccolto, ecco è esattamente il brodo che ho assaggiato in questo piatto a ricreare nella mente quella immagine. Un specie di folgorazione, un momento in cui ti senti davvero nel bosco!
Il brodo è fatto di muschio, funghi e legno, la parte balsamica viene dal pino mugo e le gemme di abete, al centro un dumping che è ripieno della parte con più collagene dell’orso, quindi la zampa appunto, anche questo tipo di carne si consuma tradizionalmente in Slovenia, pertanto l’ispirazione anche qui è sempre legata ad ingredienti di tradizione.
Assaggio il raviolo, con quel profumo di castagna e funghi nella bocca e mi guardo intorno, fuori dai vetri una valle verdeggiante, sembra creare un raccordo tra quello che mangio e quello che ho intorno… La vera potenza di una cucina che racconta il territorio.
Un parola. Sorprendente.
Nel piatto intitolato invece, Dove la carne/ Injera di farina di orzo tostato e olio di orzo maltato, CIPOLLA, brodo di scarti di carne, involtino
La carne non si vede, ma c’è e va ad arricchire la cipolla che è cotta in 3 fondi diversi (agnello e maiale), inoltre la cipolla stessa diventa recipiente, sopra, le arachidi che danno parte croccante. L’Injera, il tipico pane etiope/eritreo, qui non è fatta con il teffer ma con materia prima del territorio. Il tutto è arricchito da bacche di sambuco e porcini, che riportano proprio ai boschi sloveni.
Anche in questo piatto il concetto del viaggio è ben presente, ma anche il legame con i sapori che vengono da questa valle è strettamente connesso. E’ un po’ il leitmotiv di questo menù, non a caso la citazione del Piccolo Principe che si legge nel foglio sul tavolo riporta al concetto di curiosità e voglia di scoprire.
Nel frattempo il cielo grigio e cupo del mattino si era aperto, i camerieri pensano a spostare le tende della sala, i vetri si aprono e mentre addentavo l’injera un bel sole fa capolino sopra alla valle, il verde del prato si accende e sembra di pranzare all’aperto quasi come in un Pic nic, rendendo ancora più magico il tutto facendomi sentire ancora più interconnessa con la natura, tra quello che si mangia e quello che sentivo sulla pelle e vedevo con gli occhi.
Fonduta di formaggio Tolmin cera d’api, pere disidratate noci speziate, e gnocchi d’ortica
Si tratta di uno gnocco realizzato con base acida, la parte amara è data dall’ortica che dona anche il colore al boccone. La parte dolce invece è data dallo Zemljanka, formaggio a base Tolmino che viene affinato però a Rocca Ferrara in Emilia Romagna, tipica zona di affinamento di fossa.La parte piccante è data da un olio aromatizzato al pepe lungo.
Sorbetto di Fallopia Japonica attraverso varie declinazioni di pesca (Fresca, cotta, bruciata e ridotta)
Il pre dessert, a base di Fallopia Japonica, un erba simile all’edera arrivata dall’Asia che ha poi infestato tutta la zona della Slovenia, e il centro Europa. L’unione europea stessa ha stanziato dei fondi per cercare di diminuire l’espansione. Qui hanno deciso di utilizzarla in cucina, sicuramente sposando un discorso di sostenibilità, che rende ancora di più la cucina di Hisa Franko interconnessa con la natura. Questo sorbetto vegetale si sposa benissimo con le pesche.
Suona la campana e arriva il Mochi di Zemljanka, burro di pere, grani soffiati
Ispirato al Giappone questo mochi è però tutto declinato agli ingredienti sloveni. Invece del glutammato si utilizza acqua di Tolmino, un burro di pera al centro, in un decotto di pere fatto con le bucce, condito con olio al pepe lungo. Il suono della campana sta a richiamare l’attenzione sul formaggio che viene prodotto nella valle del Tolmino, anche questo settore caseario pregiudicato dalla pandemia al pari di quello della ristorazione, merita che ci si focalizzi sul sostegno alle piccole realtà. Infatti il barattolo con profumato fieno che viene servito insieme al piatto è un invito sia olfattivo sia alla possibilità di poter degustare e comprare formaggio di zona prima di andar via “become Cheese ambassador”.
Salsa di fagioli neri tostati e siero, gelato di polline, prugna, miele fermentato, buccia di fagioli croccante
Un dolce che rappresenta la Slovenia non solo per gli ingredienti ma anche per la storia. I fagioli usati sono una verità prodotta pochi km dal ristorante, i fagioli nel medioevo erano usati come metodo di pagamento. I fagioli sono cotti nel siero e con la loro pelle si fa un crumble con cioccolato tostato, l’aggiunta di gelato al polline e susine, rendono il dolce molto fresco, poco dolce e premiato da una certa tradizione nipponica anche qui a mio parere, rievocando quei dolci con gli adzuki.
Assaggi dolci finali sono: Choux al pepe di Timur; Cioccolato al burro di orzo bianco e fieno; caramella gommosa di sorbo; Tempeh di latte di capra e fave di cacao deliziosi e mai troppo dolci.
Invece era molto dolce il vino che ha accompagnato il dessert per me si tratta di: Szolo 2015 aszù Tikaji ungherese meno dolce e sicuramente più nelle mie corde il Sauvignon Nando sempre servito per accompagnare queste ultime portate.
Riguardo invece il resto del pranzo, la nostra richiesta è stata di provare prevalentemente proposte slovene, che conoscevamo meno, ed ecco la selezione:
Edi Simčič Rebula – I Can’t stop
Vitoska 2018 Vinogradi Marko Fon
Alter Sumenjak (chardonnay e riesling renano)
Mora 2009 Klinec (60% merlot, 30% carbenet sauvignon 10% cabernet franc)
4 vini di estremo interesse, ad eccezione di Klinec (produttore già noto) gli altri sono stati una scoperta davvero interessante.
Per completezza riporto anche i prezzi: il costo del menù è 225 euro esclusi i vini che vanno dai 7 ai 20 euro a calice, a seconda della tipologia.
Sembrerà banale e scontato concludere questo racconto dicendo che è stato come viaggiare lontano stando seduta al tavolo da Ana Ros, ma un viaggio così intorno al mondo così completo e in un carosello di colori e suggestioni non lo avevo mai visto, sentito e provato così sulla mia pelle.
Alcuni piatti mi hanno toccato profondamente, facendo emergere mie esperienze personali di viaggi e facendomi aprire una grande finestra su quella che è la cultura slovena, un viaggio nel viaggio per me oserei dire.
Per una appassionato lo ritengo un posto imprescindibile da provare, qualcosa di Hisa Franko ti entra dentro e non ti lascia più.
C’è un bel video di “cosa mangiamo oggi” con lo stesso menù fatto da noi, se siete ancora curiosi da approfondire.
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