Siamo all’ultimo appuntamento del 2014 con le Cacioricette. Quest’anno davvero ho avuto modo di parlare di alcuni formaggi eccellenti del nostro paese e chiudiamo in bellezza con l’Iscala Murada. Lo conoscete? Un pecorino sardo, di quelli fatti come una volta, con vero latte di pecore al pascolo. Pecore di razza sarda nutrite con erba e piccole integrazioni di granaglie non geneticamente modificate (mais e avena). Tutta un’altra storia rispetto a quello che si trova nella grande distribuzione e ormai in non poche aziende anche di piccole dimensioni.
Ricordate quando parlavo di pecorino? La Sardegna è tra i primi produttori di questa tipologia, di cui l’Italia conta nuomerosissime varietà, l’Iscala Murada è una di queste e rapprenta un eccellenza che andrebbe conosciuta.
IDENTIKIT:
Nome: Iscala Murada
Tipologia: Pecorino
Staginatura: sei mesi
Latte: crudo di ovino
Produttore: Monzitta e Fiori
CARATTERISTICHE:
E’ un pecorino semistagionato, quindi un formaggio a pasta morbida, la stagionatura è di almeno 180 giorni.
La crosta è caratterizzata da delle striature che riproducono lo stampo a mò di “canestro” di giunco.
Il formaggio assume una forma cilindrica e un colore giallo-bruno, la superficie viene “cappata” con olio vegetale, pertanto il colore è variabile. All’interno la pasta è bianca e via via diventa più gialla con la stagionatura.
PRODUZIONE:
Il latte del pecorino Iscala Murada, non è trattato termicamente, questa tipologia di lavorazione dà un formaggio che si definisce a pasta “semicotta”. Il latte crudo mantiene intatta tutta la sua flora batterica.
Il latte munto la sera viene versato in un tank refrigerato e il girono seguente, unito a quello della mungitura mattutina, viene portato alla temperatura di 38/39°. Dopo aver aggiunto il caglio di vitello, si attende la formazione della cagliata, quindi questa, viene rotta alla dimensione del chicco di mais.
La massa casearia viene portata alla temperatura di 41/42°, quindi semicotta, questo processo consente ai batteri mesofili, già presenti nel latte, di lavorare (come mi spiega Antonio, il produttore).
La temperatura più alta di cottura e la cagliata rotta più finemente danno un formaggio più adatto ad essere stagionato.
Un volta trasferita la cagliata nelle fascere, la pasta acidifica e si arriva al ph di 5.2.
Dopo si procede alla salamoia e alla stagionatura, dove il formaggio viene unto di olio vegetale e rigirato.
DEGUSTAZIONE:
Al naso sentori tipici di sottobosco e note salate. In bocca una sapidità importate, un gusto molto persistente di latte e di selvatico.
Perfetto mangiato a scaglia su un piatto di rucola e balsamico. Accompagnato da pane sciapo e fichi.
Il vino che c’abbinerei è un vino rosso molto morbido e caldo, la sapidità di questo formaggio potrebbe creare problemi in abbinamento e generare sentori metallici se il vino è troppo giovane.
Vi invito, al solito a vedere la ricetta di oggi su, Quale formaggio, e come già vi dicevo, nello scorso post questo prodotto aderisce al progetto il “Pianeta Formaggio”, per saperne di più qui.
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